Quanto è abbastanza?

Quanto è abbastanza?

Pubblicato il 13/10/2025

Per tanti anni mi sono interrogato su quanto fosse abbastanza, forse anche per quella frase di mio padre che ogni tanto riecheggia “a volte bisogna sapersi accontentare…”. Devo dire che a volte decisamente riesco a capire quando è troppo, ma mi risulta più difficile capire quando è abbastanza, forse perché nel DNA c’è cablato un certo istinto innato alla conservazione, che dice “intanto prendilo poi si vedrà…” oppure “metticene ancora un po’, così per sicurezza”.

Attenzione che la parola “abbastanza” non ha solo un piano di significato legato alla materia, ma racchiude tutto, dalla sicurezza economica alla salute, dagli affetti all’istruzione, dalla conoscenza alle abilità. Quando ha senso fermarsi? Ci si potrebbe esercitare per ore con la chitarra per eseguire scale pentatoniche sempre più veloci e più pulite, rifare un documento decine di volte per renderlo più pertinente, adeguato e accattivante, decidere di intraprendere un nuovo incarico professionale più ambizioso, si potrebbe voler fare crescere il proprio business sempre di più, volere una casa più grande dove tenere anche degli animali e ricevere tanti ospiti, si potrebbe diventare appassionati di alpinismo e decidere di cercare di scalare tutti gli 8000…

Il perfezionismo è l’altra faccia dell’”abbastanza”. Questo perfezionismo se spinto all’estremo è molto spesso associato a disturbi psicologici di natura ossessivo-compulsiva, in molti casi è parente di una personalità narcisista; ma è indubbio che quando parliamo di perfezionismo c’è una parziale correlazione con disturbi mentali, tra cui depressione, ansia, disturbi dell’alimentazione e pensieri suicidi. E aggiungo che molti “narcisisti” compensati sono persone di successo, spesso raggiungono i vertici delle organizzazioni, almeno fino a quando il sistema delle difese e la performance è in grado di garantire il nutrimento dell’Io ipertrofico, poi spesso il baratro…(Martin M. Antony, Richard P. Swinson “nessuno è perfetto – strategie per superare il perfezionismo”).

La società sta andando sempre più in questo senso, purtroppo i casi di perfezionismo patologico sono in crescita esponenziale, ed in molti casi la cultura del lavoro ed il successo sociale avallano questo sistema di valori (Paul Hewitt e Gordon Flett “Perfezionismo un approccio relazionale alla comprensione).

Per poter fare tutte queste cose, per salire in questa ipotetica curva di crescita (quale sia la grandezza che stiamo prendendo in considerazione) occorre sicuramente rinunciare a qualcosa. Lo sanno bene gli sportivi, che in alcuni casi arrivano a condurre una vita ascetica di rinunce per rincorrere quel sogno, apparentemente guidati dal solo e unico obiettivo (si veda l’ottimo documentario su Alex Schwazer su Netflix). In alcuni di queste situazioni non è possibile nemmeno ipotizzare un piano B, paradossalmente dopo che si è vinto tanto è ancora più difficile ammettere a se stessi e agli altri di doversi ritirare in una mezza maratona in cui si compete con atleti non professionisti. Ma dopo che si è vinto le Olimpiadi come trovare le motivazioni per correre una gara nazionale, come far si che non si pensi al doping come unica alternativa per tornare a vincere? Se le ambizioni sono troppo elevate si finirà col concentrare praticamente tutte le energie verso quell’obiettivo e a fronte di un’impossibilità di raggiungere quel livello aleggerà lo spettro del fallimento. Un fallimento che non sarà più solo professionale, ma sarà relativo a tutta la persona, che perderà gli amici, il partner, il favore del pubblico, gli sponsor, la possibilità di fare quello che ama.

Quando si pensa al concetto di “abbastanza” occorre tenere in mente alcune cose:

  1. Il miglioramento marginale diventa sempre più complesso, richiedendo sempre maggiori energie. Nel mondo della consulenza si chiama 80/20.
  2. Quasi sempre si stanno comunque sacrificando altri ambiti, anche quando questo non è evidente. Il più delle volte si cerca un miglioramento in un ambito specifico di “comfort” quando vi sono in altri ambiti dei buchi colossali, e si preferisce rimuoverli dalla coscienza (se si è giunti al quarto matrimonio è solo un incidente di percorso chiaramente, oppure se i figli si allontanano o i colleghi si lamentano è più facile attribuire le cause di questi mali all’esterno, alla società, all’educazione, …). Guadarsi dentro è ancora oggi una cosa abbastanza rara, meglio una qualsiasi forma di automedicazione edonistica.
  3. C’è un incognita pesantissima in questa equazione che è la fine dei tempi, facile dosare l’”abbastanza” quando si conosce l’orario in cui si chiude il sipario, un po’ meno quando non se ne ha alcuna idea. Però nel dubbio ci si comporta come essere immortali, o come dei perfetti prototipi di uomini medi, che vivono esattamente l’età media, dimenticando che la media in realtà è una distribuzione con una certa varianza nella popolazione. La morte, dicevano gli stoici, è l’evento più importante della vita. In “Psicoterapia Esistenziale” I. Yalom spiega bene come l’esperienza di contatto ravvicinato con la morte è in grado di cambiare per sempre la visione dell’esistenza; lo sa bene chi è scampato ad un disastro, chi ha dovuto affrontare malattie insidiose, chi è rimasto in bilico in una sala di rianimazione.
  4. I costi del mancato rispetto dell’”abbastanza” sono altissimi. Costi di salute, fisica e mentale, costi economici, costi relazionali, costi opportunità. Come è possibile che calciatori che guadagnano cifre esorbitanti mettano a repentaglio una carriera, una passione, un ritorno economico per la sola adrenalina del gioco d’azzardo? Non vi erano forse le premesse perché tutto già fosse “abbastanza”? O forse quello che crediamo abbastanza in realtà vale abbastanza poco quando mancano il diritto di amare, di essere amato e di essere riconosciuto con dei valori?
  5. Accettare il concetto di abbastanza equivale in altra forma ad accettare il concetto di parabola personale, con una fase di “crescita” e una fase di “decrescita”. Ma se non si riconosce che in ogni percorso c’è un apice, un plateau e una discesa si nega a se stessi le proprie caratteristiche mortali, in un autoinganno spesso fatale. Quando poi l’inganno finisce c’è la deflagrazione. Un continuo posticipare la mortalità e finitezza, i greci già avevano capito la tragedia che c’è in questo essere finiti, ma poi la storia è andata da un’altra parte…
  6. Riuscire a determinare l’”abbastanza” passa dal considerare quanto si vuole vivere oggi rispetto a quanto si vuole vivere domani, dal considerare il certo verso l’incerto. Si può prendere due fustini di felicità futura al posto di un fustino di felicità attuale?
  7. L’”abbastanza” passa anche dall’abilità individuale di poter differire una soddisfazione. In psicoanalisi il differimento si riferisce alla soddisfazione della pulsione il cui rinvio segna il passaggio dal principio di piacere al principio di realtà. Quindi di quanto ha senso differire il soddisfacimento della pulsione? Per questo motivo possiamo incontrare persone totalmente prese da un approccio godereccio orientato al presente e altre formiche impegnate in una pianificazione ossessiva del futuro? Chi ha ragione?
  8. L’”abbastanza” ha una dimensione pubblica e una privata, e spesso non coincidono. l’”abbastanza” privato più differire da quello pubblico per cui ci si sente costretti ad avere una bella automobile anche se le auto non interessano e si percorrono 5000 Km all’anno. Si possono riallineare queste due dimensioni?
  9. Il perfezionismo ha almeno 3 varianti, il primo è il perfezionismo autodiretto, che contempla il desiderio irrazionale di essere perfetti; il secondo è il perfezionismo socialmente imposto, il senso che l’ambiente sociale sia eccessivamente esigente; il terzo è il perfezionismo eterodiretto, l’imposizione di standard irrealistici agli altri. Non importa in quale delle fattispecie ci si imbatte, fanno tutte altrettanto male.
  10. Le persone che hanno sviluppato questi tratti spesso hanno avuto un’educazione rigida, inflessibile, iper-razionale e controllante, in nessun modo accogliente, pertanto hanno sviluppato e introiettato l’idea che il futuro è nelle loro mani, nel loro impegno, nell’applicazione ossessiva, nell’ottenimento di standard altissimi. In molti casi è mancata una reale empatia che potesse comprendere i limiti, in assenza di giudizio. Questo è il lavoro della terapia, che deve restituire un’accettazione incondizionata, riparare con l’affetto e la comprensione. In poche parole solo l’amore può curare queste ferite (H. Kohut “La guarigione del sé”)

Ognuno di noi ha il proprio “abbastanza”, non bisogna copiare le ricette precostituite degli altri, del mercato, del sociale in senso lato. E la diffusione di problematiche narcisistiche nell’epoca moderna conferma la necessità di una riflessione profonda sul concetto di “abbastanza”. Trovare il senso di quello che si fa è una cosa complicata, ma vale la pena cominciare a pensarci: un counseling esistenziale può essere di grande aiuto, anche indirizzando verso una psicoterapia quando necessario.

“«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito». (Lc 12,35-40)


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